Premessa
Pare che l’espressione “relazione tossica” trovi la sua origine in un libro del 1995, scritto da Lillian Glass. Questo testo si chiama Toxic People. 10 Ways Of Dealing With People Who make Your Life Miserable: un titolo eloquente, che tra l’altro associa il termine “tossico” alle persone, non alle relazioni.
In tantissimi dicono oggi di avere a che fare con una “persona tossica” o di essere coinvolti in una relazione tossica (col partner, con un familiare, con un amico, con un collega, ecc.), e se cerchiamo su internet tale espressione, vengono fuori circa 800.000 risultati in una frazione di secondo: moltissime persone scrivono qualcosa su questo tema. Quando tante persone, tanti siti, tante riviste online scrivono su un certo argomento in un certo periodo di tempo, questo può avere diverse spiegazioni: tra esse, c’è il fatto che quel tema è diventato “di moda”, viene molto cercato sul web e attira molti “click”.
Cos’è una “relazione tossica”?
Partiamo da un presupposto: non esiste una categoria diagnostica (né qualcosa di simile) che abbia questo nome. Stiamo parlando di un’espressione metaforica (vedi dopo) che è entrata nell’uso comune e che viene moltissimo usata, applicandola a casi estremamente diversi tra loro e – mi sembra di vedere – spesso con molta, troppa leggerezza. Quindi, più che dire cosa sia una “relazione tossica”, dovremmo delineare quali siano le qualità che di solito vengono attribuite a una relazione che viene definita in tal modo.
Leggendo svariati contenuti trovati sul web, ho fatto un elenco delle caratteristiche che più frequentemente vengono associate a relazioni (generalmente amorose, ma non solo) così denominate. Innanzitutto, troviamo che gli esempi specifici più frequenti di “relazioni tossiche” sono quello delle relazioni in cui vi sia violenza e quello delle relazioni tra un “narcisista” (di solito un uomo) e un “dipendente affettivo” (di solito una donna). Ma ci sono anche caratteristiche molto più generali, riportate altrettanto spesso: per esempio, si dice che in una relazione tossica non ci si sente liberi di essere se stessi, rispetto e stima sono carenti o assenti, non c’è il rispetto della libertà dell’altro, manca la fiducia, non c’è sostegno reciproco, spesso vi è competizione. Viene trasmessa “negatività” e non viene stimolata la “crescita personale”. La “vittima” si sente costantemente infelice, si sente “prosciugata della sua energia”, ignora i suoi bisogni per soddisfare quelli dell’altro, ha una perdita della capacità di autodeterminarsi e un calo dell’autostima; spesso è dipendente dall’altro. Un’altra caratteristica tipica è l’asimmetria nella distribuzione del potere: uno dei due è costantemente in posizione di dominanza (e talvolta di prevaricazione o abuso di potere) rispetto al partner. La “persona tossica” può assumere comportamenti controllanti verso l’altro, può agire nei suoi confronti manipolazione e avere la tendenza a svalutarlo.
Quindi? E’ chiaro che esistono relazioni altamente disfunzionali, talvolta francamente pericolose (quelle in cui vi sia violenza, fisica o non fisica, ne sono un chiaro esempio), alle quali occorre sottrarsi. Vi sono anche relazioni che “non funzionano” e che, per qualche motivo, vengono portate avanti anche se non si vorrebbe farlo, generando sofferenza e frustrazione. Considerare tutto, però, come “tossico”, generalizzando all’estremo e ricorrendo a un termine dalle connotazioni così terrorizzanti e che contiene in sé un giudizio dell’altro (e implicitamente anche di noi stessi), non porta a buone cose, per diversi motivi.
Come mi sembra sia evidente, quello delle “relazioni tossiche” è diventato infatti un enorme calderone in cui può entrare praticamente ogni cosa. Inoltre, nelle caratteristiche associate a relazioni così definite è facilissimo riconoscersi. Pensiamo a quante volte abbiamo sentito dire da qualcuno che si sente controllato dal partner, o da qualcun altro che sente le sue energie esaurite da un amico troppo presente e lamentoso: non è raro che, in questi casi, a ben guardare ci si accorga del fatto che si tratta dell’incontro, semplicemente, di modi diversi di concepire lo stare insieme, il relazionarsi, il prendersi cura, il condividere, oppure dell’intreccio di modalità di interazione che producono e mantengono certi tipi di comportamenti tra i due che potrebbero divenire più funzionali e soddisfacenti se vi si dedicasse la giusta attenzione invece che ricorrere al giudizio e all’“etichetta”.
E quali sono le “persone tossiche”?
Se seguiamo il punto di vista nel quale mi sono messa, non possiamo che dire una cosa: non esistendo propriamente le relazioni tossiche, allora non devono esistere neppure le persone tossiche. E però, così come si parla tanto delle prime, si parla (e si scrive) tanto anche delle seconde.
Nell’uso ormai diffuso di questa espressione, tra le persone definite “tossiche” troviamo primi fra tutti gli ormai (tristemente) famosi “narcisisti”, in generale “i manipolatori” e le persone che, nella relazione, esercitano una qualche forma di violenza, non necessariamente fisica. Casi come questi meritano un discorso a parte, molto serio e approfondito. Ma poi troviamo anche “i controllanti”, “i gelosi”, “gli invidiosi”, “i vittimisti che innescano nell’altro sensi di colpa”, “le persone negative”, “i pettegoli”, “i giudicanti”.
In internet non è inusuale leggere, senza mezzi termini, che da tutti questi tipi di persone occorre guardarsi e che bisogna eliminarle dalla propria vita. Si trovano, quindi, istruzioni ed elenchi di “segnali per riconoscerle” e “ricette per difendersene”.
Ora, se è vero che una persona che tende a “spettegolare” forse non è proprio quella che vorremmo come nostro miglior confidente, è anche vero che quella del “pettegolo” è un’etichetta che possiamo attribuire davvero molto facilmente, anche in modo erroneo e frettoloso. E che dire degli individui “negativi”? Non rischiamo di mettere in questa categoria persone che stanno attraversando un momento di difficoltà o che non risultano socievoli e easy come vorremmo o come la società attuale richiede? Se ci prendiamo un momento per pensare alla maggior parte delle “categorie” elencate sopra, possiamo vedere che si tratta di facili etichette in cui poter classificare comodamente praticamente tutto il resto degli abitanti umani del pianeta. E potremmo anche accorgerci del fatto che magari noi stessi siamo imbrigliati in etichette che mai vorremmo avere. Un esempio si trova qui.
Attenzione alle metafore!
Nel vocabolario online Treccani, “tossico” significa «velenoso, dotato di tossicità», e “tossicità” è la «[…] capacità di una sostanza chimica […] di provocare […] disturbi o danni a carico di organismi viventi […] con cui siano venuti a contatto. Tale azione lesiva […] si configura in turbe o arresti funzionali, espressione di lesioni biochimiche ed eventualmente strutturali» .
E’ chiaro che parlare di “relazione tossica” significa usare una metafora: cioè, non si vuole dire strettamente che queste relazioni provochino danni dello stesso tipo di quelli indotti da sostanze chimiche velenose, ma si vuole indicare che relazioni di tal genere sono comunque in qualche modo lesive e ti danneggiano. La potenza della metafora è spesso accresciuta dalle immagini terrifiche che di frequente troviamo associate agli articoli che parlano di relazioni tossiche: boccette di veleno, uomini che reggono i lacci con cui manovrano una marionetta, eccetera eccetera.
Ma le metafore andrebbero maneggiate con cura. Perché? Perché «l’essenza della metafora è comprendere e vivere un tipo di cosa in termini di un altro» – come hanno sostenuto il linguista George Lakoff e il filosofo Mark Johnson (1980, p. 31-2 tr. it.). Ne ho parlato nell’articolo sulla metafora.
Che fare?
Al netto di tutto, è giusto fare “diagnosi” (o pseudo-diagnosi) ai nostri partner, ai nostri amici, ai nostri parenti? E’ utile per noi, per l’altro, per la relazione? Questa operazione è priva di effetti? Tutto questo categorizzare non rischia di far sì che alla fine identifichiamo l’altro con l’etichetta che gli abbiamo addossato? E, poi, quali conseguenze può avere il percepire se stessi come “vittime” cadute nella trappola di una “relazione tossica”? Ne ho parlato qui.
Se riscontriamo difficoltà nella relazione con qualcuno, non è opportuno – io credo – andare alla ricerca di una parola per descriverlo né, men che meno, raccogliere le etichette che troviamo sempre più disponibili intorno a noi (soprattutto nel web) e che spesso si rifanno a una visione molto semplicistica delle relazioni. Lasciamo perdere le etichette e, piuttosto, pensiamo a come ci sentiamo nella relazione che abbiamo, chiediamoci se desidereremmo qualcosa di diverso, cerchiamo di capire (anche, se serve, con l’aiuto di un esperto) se vogliamo chiudere quel rapporto o se è addirittura necessario farlo. Se non è così, interroghiamoci circa le possibilità di un cambiamento, che inevitabilmente ci coinvolgerebbe.
Bibliografia
Lakoff, M. Johnson, Metaphors We Live By, University of Chicago Press, Chicago, Illinois, U.S.A., 1980 [tr. it. Metafora e vita quotidiana, ROI Edizioni, Macerata, 2022].